sabato 9 febbraio 2013

Django, la Recensione

Funky Spaghetti 

"Adesso che mi ci fai pensare, i nostri due film 
non c'entrano proprio niente l'uno con l'altro"
Un uomo barbuto si presenta alla porta del club più esclusivo della città, al suo fianco un nero - vestito elegante - che afferma di essere suo socio. I due sono accolti da una schiavetta nera acconciata da bambolina, che sorride ammiccante mentre gli accompagna verso le scale. Passano di fronte a una sala dove diversi gentiluomini si sono seduti a cena, facendosi servire da altre negrettine servili. Ma ai due protagonisti non interessa il sesso, essi sono intenzionati verso gli affari; salendo al primo piano gli viene concesso l'accesso al locale più privato di questa decadente casa: la sala dei combattimenti

Qui, due Mandingo - schiavi neri da combattimento - sono avvinghiati in una lotta brutale evidentemente già in corso da tempo; i loro corpi sono segnati da graffi, lacerazioni e morsicature. Entrambi sono ricoperti di sudore e di sangue, ma uno sta visibilmente cedendo alla forza dell'altro. Dopo qualche minuto è sconfitto ed è a terra. Uno degli astanti - uomini bianchi vestiti all'ultima moda cittadina - dà un martello in mano al vincitore, la sua richiesta è chiara: deve mettere fine alla vita del perdente.

La scena di qui sopra è forse, se non quella più brutale, decisamente una delle più sconfortanti dell'ultimo film di Tarantino. Mostra una totale mancanza di empatia verso il prossimo in uno mondo non poi così distante dal nostro. L'idea che degli uomini possano essere stati trattati come galli da combattimento è abbastanza da far perdere a qualunque spettatore quel briciolo di speranza nell'umanità che forse ancora possedeva. Il regista ci pugnala al cuore, ci mostra la faccia più sudicia dell'animale che chiamiamo uomo.

E lo fa mostrandoci un elemento della schiavitù - questi mandingo - che nella realtà non è mai esistito!

venerdì 1 febbraio 2013

Lincoln, la recensione

Attendendo Oscar



Preferisco il cinema al teatro; gli attori non si mettono 
mai in testa di ammazzarti

Forse dovrei cominciare questa recensione insistendo su come io non sopporti il genere Biopic, questi banali film cavalca Oscar dove un attore - ormai al punto più alto di una carriera destinata presto a scomparire - cerca di buttarsi nell'interpretazione di un personaggio storico nel disperato tentativo di raccattare la statua di un uomo nudo che si copre le vergogne con una spada.

Forse dovrei (ed effettivamente l'ho fatto) ma la verità è che puntuale, ogni anno, in prossimità degli Academy Awards, mi getto ai piedi dei cinema e faccio manate di biglietti per vedermeli tutti.