domenica 26 gennaio 2014

La lupercalia di Wall Street


Ho deciso di cominciare questa recensione con un'immagine non di Leonardo Di Caprio, bensì di Jonah Hill - il ciccio ragazzo d'oro del regista comico Judd Apatow, e veterano di film semi-sconosciuti in Italia come Suxbad, e 21 Jump Street - in particolare ho scelto la scena in cui, sotto una carica di tensione e Metaqualone, decide di salire su una scrivania e mangiare letteralmente il pesce più piccolo nell'ufficio. Faccio questo per due ragioni chiare: la prima, perché ogni dannatissima recensione su questo film che tu avrai trovato sulla rete avrà mostrato in cima il suo protagonista biondo; e seconda, perché sono un hipsterone fottuto che deve sempre fare il diverso.



Da questo momento, potrai immaginarmi così.

Mi correggo. La vera seconda ragione è perché ritengo che la scelta di un attore pecoreccio come Hill per un ruolo che sembra essere scritturato direttamente per Joe Pesci, accanto ad altri attori comici come Rob Reiner (regista vincitore dell'ambitissimo premio miglior film parodia del Drago di Plutonio), sia necessario per capire la natura satirica e iperrealistica che permea ogni radice dell'ultimo grande film epico di quello che non negherò essere uno dei miei registi preferiti.

E non voglio usare il termine satira come facile giustificazione per tutte le critiche che giustamente si merita, e che giustamente si è ritrovato. Sono sicuro che avrai già letto in rete gli attacchi emotivamente carichi che lo accusano di sessismo, ableismo, e di glorificare la natura opportunista del capitalismo Americano. E ti posso assicurare ancora, se hai un po' di fede nella mia piccola opinione di Blogger tra mille, che ognuno di queste accuse è fondata senza dubbio

Ma questo forse lo rende un film da ignorare? Da accusare di essere indietro coi tempi, e da relegare agli abissi della dimenticanza? Lo potresti pensare, ma sarebbe inutile. Perché questo è un film che verrà visto, rivisto, che sarà discusso e analizzato. Questo film sarà citato, ricordato nelle retrospettive che accompagneranno la morte del suo autore, sarà probabilmente assunto a simbolo di una generazione di nuovi broker - per poi essere ripudiato dalla generazione dopo. Questo film sarà odiato, considerato sopravvalutato, calpestato come simbolo in negativo di un regista patriarcale e retrogrado, sarà pure "guilty pleasurizzato", messo in cofanetti Blu-Ray  trilogia insieme a Quei Bravi Ragazzi e Casinò
Comunque vada, e qualunque sia la tua opinione - preparati, perché di questo film si discuterà


Altro che Hugo Cabret

Jordan Belfort è un nativo del Queens, un ragazzino di strada cresciuto in branco con amici che nel migliore dei casi sono degli ignoranti, nel peggiore degli spacciatori. Affamato di successo, sa vendere come soltanto uno che ha dovuto trattare con la feccia di New York può saper fare. Agli inizi degli anni '90 mise su quello che nel gergo di Wall Street viene chiamato un boiler room - una caldaia, o un qualche altro luogo appartato, da cui telefonare e vendere alla gente comune azioni da quattro soldi. Questi Penny Stock costano pochissimo, ma rendono tantissimo di commissione, e possono essere inflazionati per brevi periodi di tempo in maniera artificiale da parte della stessa ditta che li vende.

Il sistema si chiama Pump and dump, e fu utilizzato da Belfort per 5 anni negli anni '90 - rubando direttamente dalle tasche dei suoi clienti per milioni di Dollari - prima che l'FBI gli fece chiudere bottega e messo in galera per neanche due anni.

Da quel giorno, l'eroe di questa storia si mantiene con seminari, diritti di editoria (ha scritto due libri sulle sue esperienze), e i soldi dategli da Scorsese in persona per trasformare la sua storia in questo film. Attualmente, secondo i federali, sarebbe ancora in debito con i suoi ex clienti defraudati per circa 100 milioni di Dollari. E chiaramente, non sembra avere alcuna intenzione di restituirglieli - ma è molto contento della pubblicità che questo film gli sta recando, tanto che spera di utilizzare la sua nuova fama per ridare linfa alla sua carriera.

E ovviamente, giura di essere cambiato.


Ho smesso con le cravatte.

Capirai che quello di cui racconta questo film non è certamente il mondo finanziario delle grandi aziende, e nonostante i suoi enormi guadagni - neanche di una persona particolarmente importante. Jordan Belfort è poco più che uno dei criminali pezzenti che abbiamo ritrovato più volte nelle storie di Martin Scorsese - da Nicky Santoro a Henry Hill. Diavolo, il suo modo di trattare le donne lo abbassa addirittura al livello di Sport, tanto che a un certo punto forse si sarebbe dovuto chiedere l'intervento di un De Niro rasato alla mohicana.

Che non ci siano dubbi, quindi - se c'è una colpa da cui il regista dalle sopracciglia di fuoco non può esimersi, è di aver scelto un bersaglio facile e senza alcun potere reale. Certamente il suo è un attacco a tutto quello che Wall Street ha causato negli ultimi dieci anni o più, ma lo fa puntando il dito contro quello che, anche ai tempi in cui scambiava azioni spazzatura in modo indisturbato, più che un lupo era considerato un pagliaccio. 



Un po' come mezzo Hollywood

Quello che troviamo qui rappresentato è quindi un circo, un bazaar di testosterone. Tre ore di sesso e droga e di umiliazioni pubbliche - scene sconfortanti in cui si racconta di come meglio lanciare un nano contro un bersaglio di velcro, su come le donne di oggi siano tutte rasate e senza pelo. Molti di questi momenti sembrano addirittura improvvisate (e molto probabilmente lo sono), sopratutto quando troviamo gli attori comici già menzionati sopra, come Jonah Hill e Rob Reiner, i quali danno libero sfogo a dialoghi comici fin troppo lunghi e che non aggiungono nulla alla storia.

L'ufficio in cui si svolge una gran parte del film è un'orgia. Quando non è trasformato letteralmente in terreno da accoppiamento, sembra comunque di trovarsi in mezzo alle peggiori fantasie Neroniane: qui i memo vengono consegnati da delle scimmie; qui si viene assaliti e licenziati soltanto come dimostrazione di potere; qui a fine settimana si assumono spogliarelliste e prostitute, e si buttano soldi in faccia alle segretarie perché si radino i capelli a zero - e usino quei soldi per rifarsi le tette.

Eppure tutto quanto nel film funziona. Non nego nulla di quello che ho già detto: il bersaglio è facile; molte scene sono eccessive ed inutili; la depravazione è quasi auto compiaciuta. Eppure lo ripeto ancora, il film funziona. Funziona perché riflette perfettamente la materia di cui racconta: giovani ignoranti drogati di metaqualone, ubriachi di alcool, ossessionati dal sesso e inebriati dal denaro. Proprio come i suoi protagonisti, anche allo spettatore sembra essere fatti di coca e speed - ci si sente ubriachi e carichi su un ottovolante della durata di tre ore, e che non si presta a rallentare un attimo. 

Qui abbiamo quello che per molti il sogno Americano rappresenta davvero: soldi facili, donne plasticate, uno yacht con l'elicottero. 


Noi li abbiamo già queste cose, vero?

Si dice che non esistano film anti militaristi. Il cinema per sua propria natura, anche quando tenta di criticare la guerra finisce col glorificarla. Lo stesso vale per i film di gangster, e Scorsese non è certamente un novellino sul campo. The Wolf of Wall Street è indubbiamente il terzo film in una trilogia che è cominciata con Quei Bravi Ragazzi e che era continuata con Casinò. La struttura di questi tre film è identica: giovani protagonisti di strada che riescono a tirarsi fuori per un po', a toccare il successo per qualche anno, che perdono tutto e passano il resto della vita a ricordare i loro anni più gloriosi. 

Il montaggio frenetico e l'assenza di narrazione lineare è altrettanto identico, così come la voce fuori campo. Tutti e tre questi film sono tratti da storie reali, e tutti e tre si strutturano come delle narrazioni tra il protagonista e il pubblico in sala. Gli stessi salti temporali sono una conseguenza di questo stile, in quanto un narratore casuale raramente racconta la propria vita in sequenza - bensì per associazione. 

Il protagonista tuttavia, e forse paradossalmente, è il più infimo dei tre: dopotutto, Ray Liotta era più uno spettatore che un agente attivo nelle malefatte dei suoi compagni (seppure forse ci stesse mentendo), e Robert De Niro era più interessato a fare bene il suo lavoro che a guadagnare denaro (i quali erano più che altro un bonus), ma Leonardo di Caprio è un criminale senza alcuno scrupolo, consapevole di distruggere finanziariamente delle famiglie, e infine disposto (nonostante qualche piccola esitazione) a tradire chiunque avesse riposto fiducia in lui. Fa sembrare Gordon Gecko un pischello.

E forse sarà considerato un eroe, come era già successo con Michael Douglas col film di Stone. Forse qualche spettatore ignorante del Queens lo vedrà come un esempio da imitare, come fanno già i rapper con Tony Montana. E forse questo film è tutto una scusa per permettere al pubblico di indulgere in eccessive fantasie masturbatorie sul denaro e sul potere. Se così fosse, allora i critici avrebbero dalla loro la ragione: è un film senza morale, una commedia nera che indulge nella propria depravazione.

Non risponderò a questo dilemma, ma lo lascerò appeso in aria. Perché è materiale su cui discutere a lungo, ed è merito soltanto dei grandi film quello di spingere al dibattito. E anche al dibattito acceso.

Serviva davvero Scorsese per ricordarci che effetto fa il grande cinema.

Promosso

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