sabato 29 settembre 2012

5 franchise sulla via del tramonto





Non hanno più idee, dice il luogo comune. Non è vero, di idee ne hanno parecchie (o almeno ne ha chi vuole lavorare per loro) ma non le vogliono se non sono affermate. Perché la macchina dell’intrattenimento possa usarle, vuole che siano conosciute, con un largo fanbase, con plurimi fanclub e wiki sterminati; insomma, vogliono che siano tutte Guerre Stellari.
Ma se non sei il barbuto grasso di Skywalker ranch cosa devi fare? Ti crei il tuo franchise, investi e investi e preghi a Plutone che ti frutti qualcosa. Fai partire campagne sui social network, apri tu stesso il wiki, fai scrivere ai giornali che il tuo prodotto “è già un culto”; se ti va bene ti ritrovi con Twilight, anche se nella maggior parte dei casi ci si ritrova con Lanterna Verde.
Ma poi? Se hai trovato quella vena d’oro nelle montagne dell’immaginazione e i soldi hanno cominciato a fluire direttamente nelle tue tasche , è allora che il franchise lo devi tenere vivo. E’ un processo difficile anche questo, devi decidere se innovare o meno; se far partire i prodotti ancillari; quanto merchandising permetterti; quanti film/serie/videogame/fumetti concedere; quando stracciare tutto e ripartire col reboot. Basta un piccolo errore di calcolo, troppi film floppati o fan estraneati e il tuo franchise torna a essere quello che è sempre stato, soltanto fumo.
E’ un processo ridicolo, lo concedo, non saprei neanche dire com’è iniziato (negli anni sessanta con James Bond? Nell’Ottocento con Sherlock Holmes?) e ormai è dominante nel cinema popolare e nei prodotti di contorno. Ma non è qui che lo criticherò, qui è dove listerò piuttosto alcune di quelle proprietà intellettuali che hanno fallito: ancora vivi, ma per poco; ecco quindi una lista sommaria di 5 franchise non ancora sepolti, ma a un passo dal pensionamento forzato:



1.      Final Fantasy
Comincio parlando di videogiochi. Tra i nerdoni alpha la domanda “quando ha cominciato a morire Final Fantasy” è una questione affine a quella, tra gli accademici, su qual era la sessualità di Shakespeare (nel senso che si protrae fino all’ultima metropolitana e generalmente mette in imbarazzo gli astanti). I più anziani giurano che sia stato con il settimo, appena il gioco ha cominciato a introdurre protagonisti dai capelli a spuntone e gli attacchi di mentalsega, si è avviato un processo di mangakizzazione che ha affossato la serie.
Sarei d’accordo, se non fosse che ho amato Final Fantasy 7 e le vendite sono schizzate proprio da quel punto, da allora abbiamo avuto prodotti come il classico Final Fantasy Tactics e il grazioso Final Fantasy 9.
Tuttavia, in un certo senso questi gran-nerd anziani hanno ragione: col settimo gioco FF si era buttato sul treno dell’Anime che proprio allora si stava dirigendo verso gli Stati Uniti e guadagnando enorme popolarità grazie al successo di Pokemon. La cultura popolare Giapponese era esplosa in tutto il nuovo mondo e Final Fantasy era esploso anch’esso, ma quando la bolla scoppiò anche l’interesse verso Final Fantasy (che ormai ci presentava gare di risata e pulcini nei capelli a protagonisti razzialmente stereotipati) – alla maggior parte del pubblico vedere scolaretti in uniforme che lottano contro dragoni stava facendo venire la nausea e  gli RPG giapponesi sono stati soppiantati da quelli occidentali.
Ma la Square va avanti a promuovere i suoi Final Fantasy XIII e XIV e XIII 2 e Versus XIII a una folla disinteressata (e che non vuole perdere il tempo per capire il loro sistema di enumerazione) e a vendere i suoi Final Fantasy III e IV sull’apple store a più di €10,00 (in un mercato dove vendere a €5,00 è già chiedere tanto) come se fossero il prodotto più importante sul sito. Final Fantasy ormai è come una gallina senza testa, morta da tempo ma che nessuno tocca perché stiamo scommettendo su quanto ancora riuscirà a correre.
2.    Dylan Dog
DYD, l’altra grande bolla. Negli anni Ottanta era ovunque, se ne parlava sui telegiornali, se ne scandalizzavano i genitori e ne discutevano tutti i migliori affitta-sociologi della TV. C’era il Dylan Dog Horror Fest, c’era il film “di Dylan Dog” che in realtà non c’entrava ma era stato appositamente pubblicizzato come tale (ne parlerò un’altra volta). Dylan Dog era una rivoluzione; il detective squattrinato con un lavoro inventato, il luddismo oltranzista e le clienti sempre pronte a dormirci, l’assistente sparabarzellette clone di un comico che di barzellette faceva raro uso. Saltano all’occhio soprattutto i titoli di quel periodo, in esclamativo: Frankenstein! Killer! Jekyll! – ti gridavano addosso dall’edicola, “comprami! C’è Cagliostro!”
Si portavano i Dylan Dog a casa di nascosto, si nascondevano sotto il letto o sotto il banco – durante le lezioni si ignorava la prof per adocchiarne le pagine fugaci, per vederci uno “Scraaaatch!” o una testa mozzata o uno “Splotch!” o un paio di tette. Bisognava starci attento con questa roba, era a rischio di confisca.
E poi un giorno ti ritrovi tuo padre che lo legge tranquillo al tavolo da colazione, non ti dice niente e ti chiede se ne hai altri. Quello è il momento in cui cominciò a morire.
Dylan Dog vende ancora bene, ma non emoziona più. Dire se è colpa sua che si è fatto “mainstream” o colpa nostra che siamo cresciuti è difficile, forse un po’ di entrambi – certamente dover far finta di studiare per leggersene uno contribuiva al fascino, però è vero che ormai in edicola comprare Dylan fa lo stesso effetto che comprare Tex: tra le ristampe e i book e i color e gli almanacchi (e l’assenza dei compianti Giganti) non ce n’è una che raccolga ancora quel vecchio e caro spirito anarchico: non ci sono più le copertine con i nazisti, le teste inchiodate al muro, i rasoi che squarciano in mezzo alle poppe o i bambini ammazzati a fucilate. Al massimo c’è il fantasma nella nebbia che ringhia e il Tenente Bloch che ci informa che qualcuno è morto. Dici che non si leggeva Dylan Dog solo per lo splatter? Io ti dico che quando avevo tredici anni lo leggevo anche per lo splatter!
Dylan Dog, ti sei fatto soft.
3.      Mad Magazine
E che è? Prima di spiegare perché stia morendo forse dovrei parlare di cos’è in primo luogo: rivista Americana nata nel ’52, diventata presto simbolo dell’umorismo anti-establishment degli anni ’60. MAD è stata la prima rivista a prendere in giro i politici USA (fino ad allora considerati sacri), a satirizzarne la cultura popolare e le celebrità. L’influenza storica di MAD sulla comicità Americana è incalcolabile, senza di esso non ci sarebbero mai stati i Simpson né David Letterman. Il suo simbolo è Alfred E. Neuman, un ghigno idiota che appare su ogni copertina – inserito in vari contesti pop e culturali – con la sua storica catchphrase, “What, me worry?”
MAD è stato così popolare da generare una serie di cloni, soprattutto negli anni ’60, riviste che ne scoppiazzavano direttamente il titolo in copertina e mettevano al setaccio il dizionario dei sinonimi: Crazy, Nuts!, Whack, Flip, Unsane sono scomparsi tutti rapidamente come erano nati, ma uno sopravvisse: Cracked.
Ok, forse vedi dove sto andando a parare (soprattutto se frequenti i mari anglosassoni della rete); per anni Cracked è stato il fratello povero di MAD, per sua stessa ammissione era la rivista più comprata da chi all’edicola era arrivato troppo tardi per comprare MAD. Invece oggi Cracked è uno dei siti più popolari dell’intero web. Ha inventato uno stile di giornalismo internettiano, quello delle liste: 9 famosi cattivi dei film che erano nel giusto; 7 leggende urbane inquietanti che si sono rivelate vere; le scene di sesso più depravate sottintese da “Harry Potter”. Questo stesso articolo è debitore a Cracked, con i suoi 5 punti chiaramente espressi ad inizio articolo di modo che tu sappia esattamente quanto ti impiegherà la lettura.
Cracked, forte del fatto che era il MAD tarocco, non aveva mai avuto paura di innovarsi e di cambiare (tanto mica aveva un’audience di appassionati da scontentare). I tentativi di modernizzazione fallirono praticamente tutti, in particolare quello del 2006 che cercò di trasformarlo in una rivista per uomini alla Maxim. Quindi chiusero bottega nel mondo reale, e ricominciarono d’accapo con un sito che non c’entra molto con la vecchia rivista ma che sta riscuotendo il successo che sai.
E MAD? Continua nella direzione tradizionale, il format è sempre lo stesso (anche se adesso si può leggere su iPad) e l’umorismo anche – un umorismo dissacrante per gli anni ’60 ma al massimo caruccio nel mondo post-South Park. Le vendite ne stanno risentendo e anche se Alfred E. Neuman non si preoccupa, essere battuti dall’amico sfigato è una bella umiliazione.
4.      Alien e Predator
Difficile dire – data l’arte bizantina dei contabili di Hollywood – se Prometheus abbia guadagnato abbastanza da giustificare un seguito ma se hai letto la mia recensione, sai che preferirei di no. Per me questo franchise può fermarsi qui, e noterai che ho messo Alien e Predator insieme – i due sono legati tra i loro fin dagli anni ’80 quandola Dark HorseComics fece uscire il primo numero di Alien Vs. Predator .
Ormai i due franchise sono immaginati appartenere allo stesso continuità, l’universo di Alien con la sua Corporazione Weyland-Yutani e quello di Predator con i suoi cacciatori onorevoli alla ricerca di prede pericolose sono le stesse. Ma se i due franchise, presi insieme contano 10 film soltanto 3 di essi sono unamimamente considerati degni di nota (e questo nonostante io confessi di amare Alien 4 e apprezzare Alien 3). Certo, ci sono anche i fumetti e i videogiochi – ma prova a guardare un action figure di xenomorfo e non sentire l’odore degli anni novanta: il mondo è andato avanti, i fan di una volta ricordano il passato con nostalgia mentre i ragazzi di oggi hanno altri film da amare. Quando sono andato a vedere Prometheus, dietro di me una comitiva di ragazzini commentava come i film di Alien fossero ridicoli perché seppure ambientati nel futuro la loro grafica (è questo il termine che hanno usato nonostante il  mio brivido) è quello di 30 anni fa. Gli avrei strozzati quei ragazzini, ma forse avevano azzeccato qualcosa; io amo quello stile e quella “grafica”, ma ormai io sono  il trentenne in terza fila che li azzittisce in sala perché parlano troppo e loro sono i teenagers venuti al cinema per divertirsi e non rivivere il passato. Alien e Predator appartengono al secolo scorso, possono essere ancora apprezzati oggi da chi ha una maggiore sensibilità storica di quei quattro ragazzi, ma non saranno mai più capaci di dire qualcosa di nuovo.
5.     Star Trek
E qui mi sanguina il cuore. Devi sapere che amo Star Trek, e quando dico che lo amo intendo che è parte di me, che la mia passione è tale da rimanergli fedele anche quando mi ferisce – anche quando mi rifila film come Nemesis o serie come Enterprise. Posso  rabbrividire per un episodio con Threshold ma anche consolarmi con un episodio come The Inner Light; posso gridare “Khan!” a tutta gola per risollevarmi il morale; quando uso un iPad non riesco a non pensare al LCARS e la mia suoneria è la sigla della serie originale.
Quindi capisci quanto eviterei di mettere questo franchise in lista, vorrei usarne l’ultimo film come esempio di come possa ancora essere popolare, possa ancora interessare un pubblico nuovo e farsi apprezzare anche da chi non ci è cresciuto. Ma non lo farò, perché non sarebbe la verità.
Nonostante il successo dell’ultimo film e la mia trepidazione per il prossimo, ritengo che Star Trek sia da considerarsi prima di tutto fantascienza televisiva – e in quell’ambito non vedo niente che si muove. Non si parla di una nuova serie e forse non sapremo mai comela Federazionesi sia evoluta dopo il futuro, mostrateci nell’ultimo episodio di Next Generation; l’ultima serie era un prequel e l’ultimo film è stato un reimagining.
La fantascienza in televisione nel frattempo ha vissuto delle rivoluzioni, Babylon 5 ha reso impossibile tornare al format inventato da Star Trek: quello degli episodi singoli autoconclusivi; Battlestar Galattica ha reso antiquato l’ottimismo positivistico che la serie porta come bandiera; il Dottor Who si è accaparrato il pubblico appassionato di alieni assurdi e culture iperrealiste e Guerra Stellari – il grande avversario – l’ha oggi battuto sonoramente sulla rete: la quantità di meme su Guerre Stellari batte almeno 4:1 quelli su Star Trek; i nuovi film hanno creato appassionati giovani, che ne porteranno il credo ancora almeno fino al 2030; i negozi di giocattoli non hanno paura a tenere i Lego Star Wars in magazzino perché i bambini continuano a comprali. Qualunque cosa con Guerre Stellari vende – vi ricordate il furore intorno al MMORPG della vecchia repubblica? E quello intorno all’online di Star Trek? No, quest’ultimo non lo ricordate, perché non c’era. Star Trek non avrà mai più lo stesso pull che aveva negli anni ’80.
Forse è meglio così - e qui è il mio cuore di fan che parla – perché Star Trek non è space fantasy come Guerre Stellari, è fantascienza vera e propria. E’ un figlio degli anni ’60, di quella scuola di fantascienza cerebrale cui appartiene il Pianeta Proibito; è sempre stato un po’ naif ma è rimasto comunque sincero e se è stato battuto sul mercato da Guerre Stellari posso comunque consolarmi pensando che erede di Star Trek è il futuro, di Star Wars il franchising spietato




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