giovedì 27 settembre 2012

Prometheus, la recensione

Il Prometeo non tanto moderno ma anche un po' anni '90
Hic sunt spoilers




Nei primi minuti di Prometheus (malauguratamente in 3d per un mio errore di distrazione alla cassa del cinema) mi sono ritrovato senza fiato: la cascata Dettifoss filmata da una vertiginosa inquadratura aerea sul parco nazionale Islandese di Vatnajoll. Ho guardato quelle acque con un senso di impotenza e ho compreso cosa Scott volesse dire quando aveva definito questo film come “epico”.
Qualche minuto dopo il mio cuore ha fatto un balzo: l’androide Fassbender (di nome Dave) che passa la sua giornata, mentre l’equipaggio è in stasi, seguendo una normale routine; sale su una bicicletta e gioca a basket, mangia colazione, guarda e ripete i film di David Lean. Ho capito cosa intendesse Scott quando aveva detto che questo film avrebbe risposta alla domanda, “cos’è l’umanità?”
Nel giro di neanche mezzora avevo già guardato due spezzoni di quelli che potevano essere due lungometraggi spettacolari: un documentario sulle bellezze titaniche dell’Islanda e un film di fantascienza profondo sulla vita di un androide mentre cura l’equipaggio di una nave criogenica.

Poi è partito il film che mi sarei dovuto sorbire per le restanti due ore.
Ecco i nostri veri protagonisti, una coppia giovane e atletica che si guarda con occhi pucciosi e parla di fede. Hanno trovato un vecchio ricco morente e l’hanno convinto a finanziare una spedizione insensata verso un pianeta sconosciuto per ritrovare quello che essi credono essere i progenitori dell’umanità. Giustamente, il resto dell’equipaggio ride (e si incazza, visto che tra andata e ritorno questi qua hanno appena buttato via 4 anni) e mi ritrovavo ad empatizzare col nerdone che gli chiede “come diavolo fate a sapere che è vero?” al che la Noomi Rapace pucciosa, con occhi da bambina, gli risponde “perché ho fede”. Ed ecco la conferma che la Rapace è un’idiota. E mi dispiaceva per il povero nerdone, e il suo amico geologo crestato, anche perché ormai eravamo in un film slasher e lui era destinato a morire per primo.
I film slasher hanno delle regole precise, talmente formulaiche da essere parodiate da anni: i protagonisti sono tutti degli stereotipi riconoscibili (nerd, nero, bello, muscoloso, vergine), il nerd muore per primo (no, non il nero, nonostante lo stereotipo comunemente accettato da chi il genere lo conosce per sentito dire)  e la protagonista innocente sopravvive con la forza della sua purezza. Alien, il primo di questo scatafasciato franchise, era anche lui un film slasher ma dava subito un calcio netto alla formula: l’equipaggio era umanizzato, erano dei colletti blu al ritorno da una faticosa missione di scavo e volevano solo tornare a casa; la protagonista femminile non aveva niente di innocente, era una donna dura quanto i suoi compagni e sopravviveva perché determinata a farlo.
Ma fino a questo punto ero ancora indulgente, volevo che questo film si risollevasse dallo scivolone fatto nella presentazione dei personaggi. Mi dicevo che forse gli autori l’avevano fatto apposta a rendere Rapace idiota e consorte puccioso la coppia più odiata dell’anno, che la loro idiozia fosse intenzionale per far meglio brillare i veri protagonisti. Quando scendono nella base aliena e si tolgono il casco perché “qui c’è aria respirabile” mi sono detto, “ecco! Hanno fatto la cazzata! Ora rimarranno infetti da un batterio e ce li togliamo dai piedi!”; quando vedono gli ologrammi degli alieni in fuga (incluso quello che inciampa, quasi a voler fare l’occhiolino al pubblico saturo di cattivi film horror) mi sono detto, “ecco! Ora l’aria verrà risucchiata via e sopravviverà soltanto Fassbender Dave perché lui non ha bisogno di respirare!”. Ma niente di questo succede, nulla di quello che fanno in questa mezzora ha alcuna importanza. Trovano un tempio alieno, una testa aliena, un’anfora aliena e tornano a casa perché c’è una tempesta di silicio.
Ma aspetta! Ancora una possibilità di salvezza davanti a me: l’idiota Rapace torna indietro per recuperare la testa aliena caduta poco fuori dalla nave, è investita dalla tempesta e io grido un fragoroso “sì!” in mezzo al cinema. Per poi rimanere deluso perché viene salvata da consorte puccioso e Fassbender Dave in una scena che poteva generare tensione se me ne fosse fregato qualcosa.

Ok, qui devo fare una parentesi: non pensare male di me, non sono un cinico infelice che gode nel vedere coppie innamorate morire sul grande schermo. La ragione per cui volevo la morte di Rapace era perché dentro di me volevo che il protagonista fosse Dave. In un film che parla di creazione e creatori, rendere protagonista l’essere più “creato” dell’equipaggio poteva avere grande forza tematica. E’ innegabile che Dave sia il personaggio più interessante del film e la fantascienza mi ha insegnato che il miglior modo di parlare di umanità è attraverso gli occhi di chi umano non è. Insomma, volevo la morte di Rapace perché questo diventasse un bel film.
Invece, è un slasher. Senza compromessi. Il nero fa il negro e si porta a letto la bionda (Charlize Theron, ma a questo punto chissenefrega) e per questo lascia morire il nerd e il geologo (nel frattempo diventato fattone, altro stereotipo del genere). Rapace e consorte fanno sesso, consorte muore e Rapace rimane incinta di un mostro. Insomma, sesso=morte. Tradizione slasher puritana da America del mid-west. Niente salvezza.
Peccato che non sia neppure un bel slasher. Non c’è neanche un mostro, o meglio ce ne sono troppi e il film non si decide su quale sia quello principale: consorte idiota diventa uno zombi – ucciso subito; geologo fattone torna come altro zombi – ucciso subito, Rapace tenta un’operazione per tirarsi fuori quello che si rivela essere un mollusco gigante – e tutta la sala ride, tranne che per me che rimango perplesso. Negli ultimi minuti arriva il titano-prometeo alieno per fare da boss finale e trasformare questo film definitivamente in quello che è:
perché poteva essere epico, come quella cascata della prima scena; poteva essere profondo, come Dave che modella la sua umanità sui vecchi film; poteva anche essere glorioso, la storia di un androide che trova i creatori di quelli che hanno creato lui.
E invece, è Jason X – parte seconda.


Nessun commento:

Posta un commento

Non fare il ninja, fatti sentire!