venerdì 1 febbraio 2013

Lincoln, la recensione

Attendendo Oscar



Preferisco il cinema al teatro; gli attori non si mettono 
mai in testa di ammazzarti

Forse dovrei cominciare questa recensione insistendo su come io non sopporti il genere Biopic, questi banali film cavalca Oscar dove un attore - ormai al punto più alto di una carriera destinata presto a scomparire - cerca di buttarsi nell'interpretazione di un personaggio storico nel disperato tentativo di raccattare la statua di un uomo nudo che si copre le vergogne con una spada.

Forse dovrei (ed effettivamente l'ho fatto) ma la verità è che puntuale, ogni anno, in prossimità degli Academy Awards, mi getto ai piedi dei cinema e faccio manate di biglietti per vedermeli tutti.





Peggio di un Nerd che si mette in costume 
per dare dei soldi a George Lucas

Cosa ci posso fare io? Sarà il richiamo di un Leo Di Caprio, saranno i denti artificialmente stortati di una Meryl Streep, sarà che seguo Philip Seymour Hoffman da quando faceva quel ruolo minuscolo in Profumo di donna e quindi lo vedo come un mio protetto. Sarà anche che di tanto in tanto mi capita un film come Il Discorso del Re e allora mi metto a pensare: al diavolo, forse a volte ne vale la pena. 

Perché il rapporto tra Biopic prodotti e Biopic davvero guardabili è peggio che per i film horror, e proprio come per quel genere - non importa quanti soldi ci abbia buttato, o quante ore ci abbia sacrificato, ma continuerò a tornare e continuerò a sperare. Perché quando un Biopic è bello, è fottutamente bello.


Sentito? Il Drago ha detto che sono 
fottutamente bello!

Per come lo vedo io, c'è un modo giusto di fare un film biografico e poi c'è il modo che seguono quasi tutti: raccontare la storia del personaggio dalla sua nascita fino alla morte, o almeno fino alla tragica malattia mentale o vecchiaia; questo modo di fare film storici è stato già parodiato, eppure lo si continua a seguire - quei festival del sonno usciti l'anno scorso, J. Edgar e The Iron Lady, ne sono il perfetto esempio. 

Seguire la vita di un personaggio dall'inizio alla fine potrà essere fantastico per mostrare le doti di un attore, e sicuramente lui ti sarà grato per il fatto che gli hai tenuto la telecamera inquadrata tutto il tempo e che lo hai invecchiato col lattice per far vedere meglio i segni della malattia al fegato, ma non serve a raccontare una storia.

Il modo giusto di fare un film del genere, prende in considerazione un fatto importantissimo: che la vita non è una sola storia, ma più. Meglio focalizzarsi su una sola di esse e concentrare tutte le proprie energie narrative in un racconto che definisca le motivazioni; gli ostacoli gli obbiettivi.


Bob era ubriaco marcio (motivazione); Bob aveva bruciato il letto (ostacolo);
 Bob cercava un posto dove dormire (obbiettivo)


Ed è in questo che Lincoln eccelle, la prima mezzora del film è impiegata proprio nella definizione di questi elementi: ambientato nel 1865, la Guerra Civile si sta avvicinando alla fine, l'Unione si sta approssimando alla vittoria e tra poco sarà necessaria la re-integrazione degli stati del Nord con quelli del Sud. Concomitante con questo vi è un problema - il riavvicinamento significherà anche il ridare voto agli ex Stati Confederati, e poiché la liberazione degli schiavi è stata finora legittimata soltanto grazie ai poteri straordinari di guerra che il Presidente si è assunto, bisogna necessariamente che il Senato voti a favore di un emendamento alla costituzione prima della conclusione ufficiale del conflitto e il rischio di impedimento che i voti sudisti apporterebbero (motivazione).

Ma non tutto il Partito Repubblicano è disposto a sostenere l'emendamento proposto (mai dimenticarsi che furono i Repubblicani ad abolire la schiavitù in America) in quanto preferiscono concentrarsi sulla chiusura delle ostilità, e il Partito Democratico ne sarà necessariamente contrario. Questo significa che non si potrà raggiungere il numero di voti necessari perché passi (ostacolo).

Per risolvere il problema, Lincoln decide quindi di ritardare l'arrivo di una delegazione Sudista a Washington, e corrompere con posti di lavoro e seggi nel Partito Repubblicano quei senatori che non sono stati rieletti e quindi si ritroveranno presto senza lavoro (obbiettivo).

Motivazione, ostacolo e obbiettivo. Ci è tutto chiarito ad inizio film, il resto si concentrerà proprio sul vedere le manovre con cui Lincoln - non sempre in modo leale - riuscirà a realizzare il suo intento.


E quindi eliminare per sempre il razzismo negli USA.

Il difetto di questo tipo di narrazione è che non ci risparmia l'exposition, quel male terribile dove i personaggi si mettono a parlare tra loro di cose che già sanno così da poterne informare il pubblico. E se la cosa mi ha dato sicuramente fastidio ad inizio il film, non posso negare che valga la pena per preparare i binari a quello che segue: un gioco politico fatto di inseguimenti di Senatori, tradimenti e doppio tradimenti, comiche corruzioni e ripensamenti dell'ultima ora.

Se il fatto che i neri in America non girino più con le catene al collo mi serviva da spoiler che forse l'emendamento era passato - non nego che il film mi abbia coinvolto a tal punto che nel finale, dove anche un solo voto avrebbe potuto capovolgere la storia, io abbia seriamente dubitato un attimo.

Sorprendentemente, in un film estremamente parsimonioso sui momenti d'azione, e dove la maggior parte delle scene si svolge in camere buie e cupe, mi sembrava di assistere a uno scontro epico più emozionante anche della battaglia di Yavin.



Se fino ad ora mi sono concentrato sopratutto sulla sceneggiatura e il modo in cui è stato portato sullo schermo, questo è soltanto perché mi ritengo più capace di giudicare questo aspetto del film rispetto alla recitazione degli attori. Eppure, anche nella mia piccolezza, ho trovato i maggiori interpreti della pellicola semplicemente superbi.

Cominciamo dal basso, con la mia sempre adorata Sally Field nel ruolo della bisbetica moglie del presidente, Mary Todd. E il sempre tamarrissimo Tommy Lee Jones nel ruolo dell'abolizionista estremista, Thaddeus Stevens.

Sally recita con estrema dignità una donna che la storia sembra aver relegato al ruolo di pazza isterica e palla al piede; mentre Tommy si da' da fare con gusto nel recitare uno dei ruoli più divertenti dell'intero film - con una retorica esplosiva in difesa di idee giustissime, ma che rischiano di far bocciare l'emendamento (volendo necessariamente riconoscere l'eguaglianza biologica dei neri, oltre che legale, rifiuta di voler votare a favore).

Ma come ci si aspetterebbe, la corona non può che essere di Daniel Day Lewis nel suo ruolo di protagonista. La trasformazione è perfetta - merito anche del trucco, e della fotografia che rende l'attore più alto di quello che è davvero - ma sopratutto sono i movimenti, lenti e dinoccolati, e la sua cadenza, calma e attenta, che rendono la metamorfosi perfetta.


Pronto, Kafka!

Ciò nonostante, sarebbe un errore da parte mia dire che rubi la scena; non la ruba affatto, non oscura in alcun modo la recitazione degli attori secondari - come fanno spesso i cacciatori di Oscar quando fanno questo genere di film - si muove come un gigante, un re, una forza titanica di cui tutti quanti hanno timore e verso cui provano reverenza. Più che un personaggio Lincoln è un'entità divina con cui tutti gli altri personaggi devono confrontarsi, tanto che sono proprio gli attori non protagonisti ad essere maggiormente sotto l'obbiettivo - dai figli, ai collaboratori, agli avversari. Li ho seguiti con interesse, in quanto era proprio il loro confronto con la divinità diventata Presidente che dava energia al film.

Ed è proprio il modo in cui il Protagonista recita assieme agli altri, piuttosto che sopra di essi, che potrebbe garantire un paio di statuette non protagoniste pure per Sally e Tommy (mentre quello per Daniel è già nel sacco).


Se perdessi sarebbe davvero...Miserabile!
(ahem...)

Ma non posso certamente lodare ogni singolo aspetto di questa pellicola: di momenti Spielbergiani pacchiani ce ne sono un paio (uno in particolare davvero patetico), la musica di John Williams arriva sempre nei momenti meno opportuni per ricordarci quando ci dobbiamo emozionare (ma non ci sono gli attori per questo?) e in generale la sceneggiatura, come già detto, necessita di troppa exposition per ingranare bene.

Ma questo non importa tanto, perché il film nel suo complesso funziona; emoziona e diverte e affascina. E' forse un pochettino troppo "Americano" per i gusti di alcuni, ma quando tratti del più grande presidente che l'America abbia mai avuto, che altro devi essere

Promosso!



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